sabato 18 aprile 2015

18 aprile 2015, o dell'inutilità

C'è stato un momento in cui scrivere sembrava possibile soltanto attraverso degli occhi occulti - sguardi fra le righe - , quando si trattava di aspettative e di delusioni e mi sostenevo aggrappandomi alle approvazioni tiepide.
Ora ho conosciuto gli angoli più bui della mia angoscia, e scrivere mi sembra una dichiarazione ancora più esplicita di un corpo nudo, e farlo, anche solo per me, sembra implicare una resa tanto incondizionata, una violazione di qualsiasi velo di intimitá tanto grande che nessuno dovrebbe permettersi di farlo, nemmeno a se stesso.
Eppure sono passati due anni dall'ultima volta in cui ho creduto all'inchiostro, due anni di silenzi e perdita di senso e realtà distanti, due anni di torpore e di giorni scivolati con tanta fretta da non lasciare tracce, se non quelle lacrime vacillanti agli angoli degli occhi che le ciglia hanno sempre saputo trattenere, due anni che non hanno conosciuto vita, due anni di dolore e di barriere e tutto quello che ancora non credo di saper dire.
Ho una corona d'alloro poggiata sulla scrivania, un traguardo che sento non appartenermi minimamente, qualcosa di cui dovrei andare fiera e invece me ne vergogno, mi vergogno di tutti quei giorni passati al tavolo più isolato della biblioteca, un computer davanti al volto e le dita inermi, a fingere di battere pochi tasti per poi tornare ad adagiarsi in pose sconce, tese, lo stomaco in subbuglio davanti al temibile biancore di quel foglio virtuale, minaccioso nella sua semplicità, così simile a quei tanti fogli che avevo smesso di saper riempire. Mi vergogno di tutti quei giorni invece - sedici, sono stati solo sedici - in cui ho dimenticato di mangiare, in cui ho ignorato le mie ciglia e il loro immane sforzo, quale ultime barriere prima del mio crollo liquido, e ho riempito di segni a cui non riesco a trovare un significato quelle cinquantasei pagine che ora se ne stanno colpevoli di mediocrità e mancanza di attenzione a riposare in mezzo a un abbraccio in velluto blu.
Forse l'imprudenza di riversarmi in mezzo a queste parole che una volta erano state la mia unica speranza, e ora sono il mio più profondo rimpianto e la mia paura più grande, posso riservarla solamente alle notti  tardive, quelle che giungono dopo una settimana di notti bianche, e silenzi protratti, occasioni mancate. Dopo quel sogno che non ho vissuto e le mie debolezze che sono corse veloci, dopo una cena in quel ristorante dalla vista tanto vertiginosa cui ho voltato le spalle, dopo una mano sul mio fianco e uno sguardo deciso e il mio ginocchio così vicino ad un ginocchio caldo, quando avevo abbassato la guardia e osato per un attimo sperare, quando il pendolo aveva ripreso il suo moto e raggiunto il picco, per rigettarmi in una discesa che ogni volta si fa più devastante, perché la consapevolezza di ciò che resta sospeso in aria e della mia distanza logora le briciole di certezze che ancora si nascondo agli angoli della mia anima.
Ed è la consapevolezza del nullo valore di questi miei scritti a farmi sentire ogni giorno più distante da quella che ero due anni fa, e forse dovrei semplicemente fermarmi e respirare, abbraciare il cuscino e sperare che questa notte il sonno venga, e invece continuo a muovere insensatamente le dita su questa tastiera. È una danza che è solo un pallido riflesso di quel che avrei voluto essere, ma è pur sempre quanto di più vicino a quella vita io abbia sperimentato negli ultimi ventiquattro mesi, e dunque smettere mi sembrerebbe terribilmente simile a ricominciare a morire.
Non m'importa più nemmeno di quella bimba bionda che mi ha abbracciata dicendomi che le ero simpatica, non mi importa di quella mano grande che ha stretto la mia mentre cercavo di aprire la portiera dell'automobile, e di quel bacio a cui mi sono sottratta nonostante avrebbe potuto essere un'ancora di salvezza in questa notte di temporali, di tuoni privi di luce e di tremori viscerali.
Riesco a pensare solo a tutti i personaggi cui non mi sono mai applicata, tutte le vite che ho lasciato si spegnessero in punta di penna, Rossana e Clara e il profilo di un collo cinto da un filo di perle, e tutto quello che ho sempre rinviato ad un futuro che mai avrei dovuto considerare prossimo, perché non fa per me.
Sono fatta d'esistenze trasparenti, prive della nobiltà dei cristalli, sono fatta per i silenzi trattenuti in fondo alla gola, ché nessuno si accorga delle ciglia arrese.

Nessun commento:

Posta un commento