sabato 14 marzo 2015

Lolita, di V. Nabokov

Le mie opinioni riguardo a questo romanzo sono piuttosto contrastanti. Ho cambiato idea radicalmente più volte, leggendolo, e nonostanre ora lo abbia finito da diversi giorni, non riesco comunque a formulare un'opinione unitaria, mi sento molto combattuta.
La trama credo sia ormai nota a tutti: Humbert Humbert, tormentato da un'insano amore per le giovanissime (e per giovanissime, intende proprio giovanissime: le sue "ninfette",  a suo dire, perdono il potere di ammaliarlo già attorno ai quattordici anni), perde completamente la testa per Dolores Haze, Dolly, Lola, Lolita, e in seguito a svariate peripezie riesce a "conquistarla", trascinandola in un delirante viaggio attraverso gli Stati Uniti e la sua follia.
Insomma, un racconto di pedofilia che ci viene presentato dal "mostro" stesso, un mostro che scopriamo essere estremamente colto e raffinato, quasi lucido nella sua follia. Un mostro disperato, un malato consapevole della sua malattia, insomma, un mosto estremamente, terribilmente umano.
Nella prima parte del romanzo, devo dire di aver trovato lo stile di Nabokov meraviglioso: una prosa raffinatissima, colta, estremamente curata ma al tempo stesso molto scorrevole, mi ha ammaliata e completamente trascinata all'interno della narrazione. Ho divorato la prima metà del romanzo, completamente assorbita dall'ambigua figura di Humbert, catturata dalla sua malsana e sempre più crescente passione per Dolores. È straordinario il modo in cui Nabokov sia riuscito a suscitare disgusto e al tempo stesso simpatia (simpatia nel senso più etimologico, quello che apre la strada all'empatia, un essere disposti a comprendere - non accettare, non perdonare o sminuire, si badi bene - le situazioni e le ragioni che portano qualcuno a comportarsi in un determinato modo, fosse anche desiderare una bambina) nei confronti di un uomo che in fondo risulta quasi vittima di una passione più grande di lui, che non riesce a gestire, che riconosce come perversa e malata ma che al tempo stesso non può non provare. Condanniamo Humbert, lo condanniamo ad ogni pagina, ma non possiamo fare a meno di riconoscere il suo struggimento.
La seconda parte del romanzo, invece, quella dove la passione di Humbert trova finalmente sfogo, quella che dovrebbe essere più coinvolgente, più devastante e forte, l'ho trovata estremamente noiosa, quasi irritante. Ci sono ottimi spunti, il personaggio di Lolita sembra quasi restare sullo sfondo, eppure è credo uno dei ritratti più fedeli della prima adolescenza, di quel misto di ingenuità infantile, voglia di apparire "grandi", solitudine, paura e leggerezza, eppure lo possiamo cogliere solo attraverso gli occhi di Humbert, il quale sembra non accorgersi di nulla di tutto questo. Per lui Lolita è solo la forma della sua perversione, è la sua passione fattasi esperienza reale, è la sua estasi e il suo tormento, e nient'altro. Il tormento di Dolores, una ragazzina spaventata, rimasta sola, che non ha mai ricevuto molto affetto in vita sua e ora sembra pronta ad attaccarsi a qualsiasi cosa possa sembrarle un punto fermo, rimane solo sullo sfondo, e questo mi ha un po' infastidita, perché a volte, presi dai ghirigori letterari e le belle merafore che Nabokov mette sulle labbra ad Humbert si rischia quasi di dimenticare tutto questo aspetto. Inoltre, a mio parere in questa parte lo stile di Nabokov raggiunge vette di abilità fin troppo elevate, risulta quasi autocelebrativo, una dimostrazione di talento che distoglie troppo l'attenzione dalle vicende, rendendo noiosa la lettura proprio nel  momento in cui dovrebbe stimolare di più il lettore. Io ho poi trovato estremamente fastidiosa la leziosità di alcuni passaggi, lo stile quasi bucolico con cui ci si rifersice ai rapporti sessuali fra Humbert e Dolores: l'ho trovato molto di cattivo gusto, nauseante.
Sul finale il romanzo riprende la sua forza iniziale, la passione di Humbert lo ha trascinato negli anfratti più bui della psiche, è tormentato e confuso, ma abbandona l'eccessiva ricercatezza dello stile, tornando ad essere estremamente ben scritto ma godibile, non più stucchevole.
Nel complesso, penso di poter dire di aver apprezzato questo romanzo, pur con qualche riserva sia sulla forma, che su alcuni contenuti. Perché, se é vero che un romanzo è finzione, e non deve avere a tutti i costi un intento moraleggiante, credo che scrivere un romanzo significhi dire qualcosa. E, arrivata in fondo, mi chiedo perché Nabokov abbia scelto proprio questo tema per il suo romanzo: non riesco proprio ad impedirmi di pensare che, forse, un pizzico di furbizia di fondo ci sia, perché si sa, certi temi scottano, fanno discutere, fanno scalpore, suscitano curiosità, indignazione, morbose voglie voyeuristiche, e anche la critica è pur sembre visibilità. Spero tanto di sbagliarmi, e non voglio con questo togliere nulla al grande valore letterario che il romanzo conserva, ma un po' di scetticismo, non posso negarlo, mi resta.