giovedì 21 maggio 2015

Il profumo, di P. Süskind

ATTENZIONE, QUESTA RECENSIONE CONTIENE ANTICIPAZIONI SUL CONTENUTO DELA TRAMA

Avevo acquistato questo ebook qualche anno fa, per poi quasi dimenticarlo, in attesa che arrivasse il momento giusto per immergermi in un romanzo simile. Momento che mi è sembrato giungere in un periodo di forte stress, quando sentivo di aver bisogno di un romanzo non troppo impegnativo, in grado di distrarmi e intrattenermi senza richiedermi troppi sforzi. Se aggiungiamo anche che ultimamente ho sviluppato un forte interesse nell'ambito profumiero, e che mi sono data a qualche piccolo esperimento nasale anche io (no, non spaventatevi, nulla alla Grenouille), be', non ho saputo resistere, e mi sono gettata in mezzo ad aromi ed effluvi della Francia del diciottesimo secolo.
Devo dire che le aspettative sono state rispettate in pieno: non cercavo un capolavoro della letteratura contemporanea, ma ho trovato un romanzo interessante e originale, in grado di coinvolgermi e di intrattenermi in maniera molto piacevole. La scrittura di Süskind è scorrevole ed accattivante, molto evocativa e precisa per quanto riguarda la descrizione degli odori (e se qualcuno si interessa un pochino di composizioni profumiere, sa quanto sia complicato descrivere note olfattive e armonie di boquet), pur senza apparire mai pesante o monotematica.
Credo che per apprezzare questo romanzo ci si debba calare nell'ottica che questo non è un romanzo storico, non vuole essere realistico o narrare una vicenda fittizia ma credibile, perché in questo caso si resterebbe delusi. Credo che questo romanzo sia sospeso fra un'atmosfera fiabesca (ma se per fiaba intendiamo racconti fantastici e crudi, non certo principesse e vero amore e lieto fine) e una comicità da pantomima, esasperata e tremendamente cinica.  Ecco, se si è pronti ad accettare tutto questo, ad accettare forzature ed elementi irrealistici, esagerazioni e caricature grottesche, allora il romanzo potrebbe risultare molto piacevole.
"Il profumo" racconta la storia di Grenouille, una creatura che di umano sembrerebbe avere solo l'aspetto fisico, un essere anaffettivo, incapace di creare qualsiasi tipo di rapporto umano, che sembra non aver mai provato un sentimento. L'unica cosa che per lui sembra avere importanza è il profumo: il naso di Grenouille è infatti estremamente sviluppato, sviluppato in maniera quasi sovraumana: riesce a fiutate una scia odorosa anche a forte distanza, conosce e ricorda ogni odore che abbia mai sentito, intuitivamente è capace di accostare le note olfattive per ricreare qualsiasi odore o per creare profumi totalmente nuovi, sublimi. E al tempo stesso, non possiede nessun odore. Non può essere riconosciuto, non ha nulla che lo caratterizzi, che gli dia un connotato: è neutrale, invisibile agli occhi del mondo, un essere trasparente, e forse proprio per questo incapace di inserirsi in un contesto di rapporti umani e di accettazione di principi come quello di bene e di male. Grenouille vive infatti per gli odori, tutto quello che fa è finalizzato a permettergli di conoscere quanti più odori possibili prima, e a permettergli di possedere questi odori poi (interessanti e anche molto accurate a questo proposito sono infatti le descrizioni delle tecniche profumiere come quelle della distillazione e dell'enflourage).
Questa sua brama di conoscere e possedere ogni profumo, ogni essenza, lo porterà a compiere le azioni più ignobili, ma per Grenouille non esistono concetti di bene e male, non esiste la giustizia, non esistono i rimorsi. Esistono solo gli odori.
Ed è interessante vedere come questa insensibilità del protagonista sembra quasi riflettersi nella scrittura: una scrittura che è piuttosto scarna, quasi cronachistica quando si tratta di descrivere le vicende più turpi e scellerate (le morti dei vari personaggi che hanno contribuito alla crescita di Grenouille prima, i suoi omicidi poi sono descritti in poche parole, senza pathos, semplicemente come una successione di fatti); una scrittura che invece si anima di descrizioni particolareggiate e ricercate quando si tratta di parlare degli aromi.
Se c'è una cosa che ho trovato fin troppo esagerata ed esasperata, anche rispetto al registro vagamente grottesco e surreale che comunque pervade tutto il romanzo, è proprio il finale. Questo l'ho trovato fin troppo sensazionale ed assurdo, anche se posso capire le motivazioni che hanno spinto Süskind. Ciò che accade è coerente con il resto del romanzo, ma sono forse le modalità ad essermi apparse un pochino esagerate.
Nonostante questo neo, devo dire  che ho trovato questo romanzo estremamente godibile ed originale, senza dubbio lo consiglierei a chi cercasse qualcosa di coinvolgente ed originale pur senza essere troppo impegnativo.

mercoledì 20 maggio 2015

La luna e i falò, di C. Pavese

Tanto per cambiare, questa è una recensione per me difficile da scrivere.
Lo so, lo dico praticamente all'inizio di ogni mia recensione, ma in questo caso è particolarmente vero. Basti pensare al fatto che solitamente preferisco scrivere le mie opinioni abbastanza "a caldo", entro pochi giorni dalla fine della lettura, mentre in questo caso sono passati più di dieci giorni senza che mi decidessi a scrivere nemmeno una riga. E tutt'ora non sono certa di quali siano le parole più adatte da utilizzare per descrivere le sensazioni che questa lettura mi ha dato.
È un romanzo verso il quale nutrivo grandissime aspettative, perché sembrava avere tutti gli elementi che di solito fanno entrare un libro nel mio cuore: una scrittura malinconica, una prosa evocativa e delicata, al confine della poesia, riflessioni e ricordi. È un romanzo che parla di ritorni, ritorni al proprio paese, alle proprie origini, al sostrato della propria natura; un ripiegarsi in sé stessi per sovrapporre la propria immagine attuale con quella da cui si era partiti. Ecco, è un romanzo che parla di ritorni, del fare i conti con quello che si è stati, che si è lasciato  o si è ritrovato, e io l'ho letto in un momento particolare della mia vita in cui mi sento totalmente "in partenza" (non sto parlando di partenze e ritorni fisici, sia chiaro, è un discorso che resta sul piano emotivo e psicologico). Non credo sia tanto - o per lo meno, non solo -una questione anagrafica, ma più che altro di esperienze e di situazioni: in questo particolae momento della mia vita io mi sento estremamente proiettata verso l'esterno, lontanissima da questo moto di ritorno, di ripiegamento su sé stessi, dunque immagino che non fosse questo il momento adatto per leggere un romanzo del genere. Sicuramente lo prenderò di nuovo in mano più avanti, quando mi sentirò pronta a "tornare".
Devo dire che per più di tre quarti del romanzo (o meglio, forse dovrei chiamarlo "raccolta di memorie") mi sono annoiata parecchio. Certo, la scrittura di Pavese è veramente qualcosa di bello, ci sono passaggi che sono vera poesia in prosa, ma fra uno di questi momenti e l'altro ho fatto davvero fatica ad appassionarmi alle vicende. Forse perché non si può nemmeno parlare di vere e proprie vicende, perché in realtà si tratta solamente di riflessioni frammiste a ricordi buttati insieme un po' alla rinfusa. Non che in un romanzo io cerchi a tutti i costi una trama ricca e densa, tutt'altro, ma devo dire che in questo caso mi sono annoiata molto. In generale, fatico ad appassionarmi alla vita contadina descritta nei minimi dettagli, e non appena qualche capitolo prendeva una strada interessante, un percorso riflessivo ricco, un ricordo di cui sarei stata curiosa di leggere, ecco che Pavese mette un bel punto, volta pagina e inizia a parlare di tutt'altro.
Le ultime ottanta pagine circa invece mi hanno stupita in positivo: le ho lette tutte d'un fiato, anche se riflettendoci adesso mi rendo conto che il registro di quelle ultime pagine non era tanto diverso rispetto al resto del romanzo, per cui è altamente probabile che semplicemente io abbia letto questo romanzo in un momento particolarmente instabile per me, e che i miei sbalzi di umore abbiano condizionato fortemente la lettura.
Credo che comunque la scrittura di Pavese si meriti una seconda possibilità, magari quando sarò certa di essere più calma e di potermi approcciare a degli scritti così intimi e intimisti con un animo più sereno, più aperto ad accogliere emozioni diverse da quelle che mi pervadono in questo determinato momento.

lunedì 4 maggio 2015

Divorzio a Buda, di S. Márai

Ho conosciuto Màrai quattro anni fa, in maniera del tutto inaspettata e casuale: un regalo di circostanza, da parte di una persona che non mi conosceva quasi per nulla, la quale aveva saputo che mi piaceva leggere, e dunque per Natale mi ha regalato "Le braci", pur senza conoscere minimamente  i miei gusti. Ed io non conoscevo minimamente Màrai, dunque per diversi mesi ho ignorato completamente questo regalo, fino a quando non mi sono decisa a dargli una possibilità, piena di scetticismo, senza aspettarmi nulla.
Ebbene, sono rimasta folgorata. Folgorata da una prosa lucidissima, capace di costruire personaggi complessi e di analizzare con una precisione fin troppo chiara l'immensa complessità dei rapporti  interpersonali.
Così, quando ho acquistato "Divorzio a Buda" e ho letto che questo breve romanzo potrebbe essere considerato come uno studio preparatorio al capolavoro "Le braci" ho avuto un po'di timore, timore che potesse sembrarmi incompiuto, o abbozzato, insomma, che non potesse reggere il confronto con un libro che invece mi era tanto piaciuto.
Ebbene, senza dubbio qualche punto in comune fra i due romanzi esiste: entrambi i romanzi possono essere nettamente divisi in due parti, una prima più pacata e descrittiva, dove prendono corpo le figure dei protagonisti, e una seconda di incontro-scontro, un lungo dialogo (quasi un monologo) dal ritmo serratissimo, dall'emozione crescente, dove la facciata di una realtà che era stata presentata come assolutamente lineare nella prima parte, progressivamente comincia a sbriciolarsi in un climax di tensione. E tutto questo, ne "Le braci" così come in "Divorzio a Buda",  a me piace terribilmente.
Quindi, sì, questo romanzo mi è piaciuto, e tanto anche. È uno di quei romanzi in cui è facilissimo immergersi per perdere il contatto con la realtà, uno di quei romanzi che ti chiede di essere bevuto in una sola sorsata, ripagando la tua febbricitante voglia di non staccare gli occhi dalle pagine con un'intensità di lettura che raramente ho ritrovato in altri autori. È un'intensità che sta tutta nelle riflessioni, nelle sfumature di tono, nei piccoli, complessissimi gesti che nel loro insieme vanno a creare i rapporti di due - o più - persone.
La trama stessa dell'intero romanzo non è altro che un insieme di piccoli gesti: un giudice, felicemente sposato e padre di due figli, si appresta a presiedere al divorzio di un suo vecchio compagno di scuola, con cui non è più in contatto da diversi anni, da sua moglie, donna che il giudice ha incontrato in un paio di occasioni più di dieci anni prima. Dopo una lunga, pacata prima parte in cui Màrai dipinge magistralmente la figura di questo giudice, tutto si condensa nella notte precedente al processo, in una lunghissima conversazione che saprà scandagliare ongi anfratto che compone i rappprti umani e getterà una luce totalmente nuova sull'intera faccenda. È un dialogo dove l'ossessione e una inquietante vena quasi folle vengono rappresentate con scorcertante lucidità, quasi fossero sezionate, poste sotto vetro ed esaminate da un occhio clinico, ma proprio questa folle lucidità contribuisce a rendere più intensa la sensazione di perturbamento che pervade il lettore.
È interessante il contrasto che viene a crearsi con la prima parte, puramente descrittiva e molto pacata (nei toni, nello stile e negli argomenti) con lo straniante dialogo finale, ma è anche vero che la cesura fra le due parti sembra troppo netta, violenta, quasi la prima parte perdesse di importanza e di utilità di fronte alla seconda. Ecco, una cesura così netta ne "Le braci" non l'ho osservata, o quantomeno ora non ne conservo memoria, quindi solo questo mi spingerebbe a considerare "Divorzio a Buda" in qualche misura inferiore al capolavoro di Márai, che resta comunque un autore che mi dà sempre sicurezza, che non mi ha mai delusa.