venerdì 17 aprile 2015

Le correzioni, di J. Franzen

ATTENZIONE, QUESTA RECENSIONE POTREBBE CONTENERE ANTICIPAZIONI SULLA TRAMA
Stavo per iniziare anche questa recensione dicendo che per me è difficile parlare di questo libro, raccogliere le idee e trovare una visione univoca, ma mi rendo conto che questo è quello che dico più o meno ad ogni recensione, e dunque che valore potrebbe avere? È anche vero che, in questo caso più che in altri, sento di non sapere quanto ho apprezzato e quanto invece non mi è piaciuto di questo romanzo.
Sento parlare di "Le correzioni" da tanti anni, ho letto commenti entusiasti che inneggiavano ad un capolavoro contemporaneo destinato ad entrare a far parte del novero dei classici, di un moderno Tolstoj, di Letteratura con la maiuscola, e al tempo stesso ho letto critiche ferocissime che stroncavano in pieno il romanzo definendolo un mucchietto di nulla. Be', solitamente davanti a situazioni del genere io mi getto a capofitto nella lettura, curiosa di scoprire da che parte mi schiererò, e così ho fatto anche questa volta. Ebbene, ripensando ai commenti così disparati, mi rendo conto di trovarmi esattamente nel mezzo, o per lo meno mi sembra che entrambi i fronti abbiano le loro ottime ragioni.
"Le correzioni" è un grande romanzo che narra la vita dei Lambert, "tipica" famiglia del midwest americano: troviamo Alfred, uomo dispotico, rigidissimo nelle sue regole di disciplina che non concedono mai un gesto d'affetto evidente per le persone che ama, e troviamo il suo lento degradare a causa del Parkinson, della depressione e della demenza incombente. Incontriamo poi l'odiosissima Enid, moglie di Alfred, una donnetta insignificante, morbosamente attaccata all'apparenza e piena di vergogna per tutto quello che non rientra nei suoi canoni di normalità, tutto ciò che non riesce a correggere, mi verrebbe da dire. A contendersi il premio di personaggio più odioso incontriamo poi il primogenito Gary e tutta la sua famigliola: un uomo visceralmente attaccato ai soldi, che monitora la sua depressione senza voler ammettere di avere un problema (o meglio, crogiolandosi al pensiero di avere una malattia mentale per la quale potersi autocommiserare), soggiogato all'arrogantissima moglie Caroline, manipolatrice, e circondato da figli adolescenti vogliono, comandano e possono tutto. C'è poi Chip, il figlio di mezzo, il figlio pseudotrasgressivo che scrive e riscrive una sceneggiatura squallida, pontifica contro il sistema capitalistico senza fare mezzo passo per uscirne, non si occupa della famiglia, scappa di fronte ad ogni minima responsabilità e si imbarca in un tragicomico e improbabile viaggio di (truffaldino) lavoro in Lituania per poi subire una sorta di redenzione ancora più imbrobabile nelle ultime pagine del romanzo. Sì, insomma, lo stereotipo fatto a personaggio. Infine c'è Denise, la figlia minore, l'unico personaggio per cui abbia provato un minimo di simpatia: donna glaciale ed ambiziosa, che si difende dalle aspettative altrui rifugiandosi in un mondo fatto di lavoro, lavoro e ancora lavoro fino al momento in cui le sue barriere inevitabilmente cedono sotto la pressione della vita, e tutta la sua umanità, le sue contraddizioni, i suoi difetti e il suo dolore fanno irruzione.
È molto interessante come Franzen approfondisca ogni figura in un capitolo, e come ogni parte del romanzo getti una luce diversa sia sul protagonista che, soprattutto, sugli altri membri della famiglia, che inevitabilmente si ritagliano la propria identità partendo dal modo in cui gli altri li riconoscono. Proprio come in un gioco di specchi, non esiste identità, esistono prospettive, che possono distorcere un fatto, piegarlo e snaturarlo, ma anche aprire nuove possibilità di interpretazione, illuminare angoli bui, mostrare lati nascosti. E il lettore stesso si trova a far parte di questo gioco di specchi, a muoversi in questo gioco di specchi, cosicché, arrivato in fondo alle seicento pagine del romanzo, non esistono visioni unilarerali, non esiste nessuna epifania di realtà nascoste, ma solo un fascio di diversi punti di vista con cui cercare di fare i conti. Perché, sì, i personaggi sono veramente insopportabili, ma al tempo stesso sono tremendamente piccoli nelle loro infelicità, e i loro difetti, nel momento in cui non vengono più considerati come singoli personaggi ma in quanto inseriti in una rete di relazioni, diventano quasi parte di un sistema, hanno delle cause e delle conseguenze che creeranno nuove ondate di rezione negli altri elementi che costituiscono il sistema.
Vero è che forse questo voler mostrare tutti i dubbi, il dolore, la solitudine, gli errori e le correzioni (ma davvero si può parlare di errori e correzioni) di quella che in apparenza dovrebbe essere una tipica famiglia, andando a scavare sotto le apparenze per portare alla luce tutto il marcio non è esattamente quanto di più originale si possa fare in un romanzo. Per tutta la durata della lettura ho avuto l'impressione di leggere qualcosa di già sentito, una bella variazione su un tema ormai un po' troppo sfruttato. Davvero è necessario ribadire che anche dietro la facciata più canonica si possono nascondere anfratti oscuri e dolore? Forse sì, ma questa sensazione di ripetere qualcosa già detto mi ha accompagnata per tutto il romanzo.
Romanzo che si lascia leggere con estrema semplicità, molto scorrevole, accattivante, ma a tratti ho avuto la sensazione che di alcune pagine si sarebbe potuto tranquillamente fare a meno. Quasi che Franzen fosse stato consapevole di voler scrivere un "librone" importante, e abbia a tutti i costi voluto allungare il brodo con elementi che sul momento non infastidiscono, perché a pensarci bene durante la lettura non ho mai trovato noioso qualche passaggio, ma che a conti fatti non aggiungono proprio niente alla struttura generale, se non un buon numero di pagine.
In fine dei conti, mi ritrovo ad aver speso un gran numero di parole per trovarmi alla fine di questa recensione più confusa di prima: ho apprezzato questo romanzo? Se devo essere sincera, non lo so. Mi è passato addosso molto velocemente, come velocemente l'ho letto, e mi rendo conto che alcuni passaggi che normalmente mi avrebbero scossa profondamente (come quelli sul degrado della malattia di Alfred, e soprattutto il suo ultimo dialogo con Chip) mi hanno lasciata quasi (badate bene, quasi) indifferente. E mi sto ancora chiedendo se la colpa sia di Franzen oppure mia.

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