mercoledì 4 febbraio 2015

Domani nella battaglia pensa a me, di J. Marìas

Trovo estremamente difficile provare a parlare di questo romanzo, che è romanzo, sì, ma anche tanto altro.
La trama, a pensarci bene, non è molto di più di quello che si può leggere sulla quarta di copertina: Vìctor è a cena a casa di Marta, un donna sposata che però conosce appena, la quale ha un malore e muore prima che i due possano concludere la serata a letto. Resta quindi un bimbo di due anni, che vedrà il suo mondo terminae con la scomparsa di sua madre; resta un marito in viaggio di lavoro a Londra; resta una sorella minore, che un giorno sarà però maggiore di Marta; resta un padre che si aggrappa all'etichetta e alla dignità per sopravvivere al dolore. Resta infine Vìctor, incantato - haunted - da avvenimenti e personaggi in cui si è imbattuto per caso, che si trova a dover condurre il lettore attraverso riflessioni importanti e avvenimenti stranianti.
Certo, se guardassimo alla trama solo come ad un susseguirsi di eventi, eliminando la voce di Vìctor, forse ci sembrerebbe di assistere a qualche cosa di assurdo, insensato, illogico e poco reale. Eppure la voce di Vìctor (o dello stesso Marìas? Del resto, quando il protagonista si trova ad inventarsi un nome davanti ad una prostituta - Victoria, femminile di Vìctor - sceglie di farsi chiamare Javier) c'è, e non si può fare a meno di ascoltarla. E, ascoltandola, ci si rende conto che l'insensato ha ragion d'essere, che ciò che sembra assurdo è invece giustificato.
È un romanzo che parla di quel che resta: quel che resta quando qualcuno muore, quello che resta quando finzione e realtà e illusione iniziano a vacillare, a sovrapporsi e allontanarsi, a sfumare i confini e l'uomo si trova a fare i conti con quello che era e a quello che ora è. Non ci sono certezze, in questo romanzo, c'è solo tanto vuoto e un senso quasi di capogiro, che accompagna il lettore dall'inizio alla fine. Un fatto può essere terribile e ridicolo, e mille volte diverso, perché dipende dal relatore che lo espone, e a volte lo stesso fatto è diverso anche quando il relatore rimane sempre lo stesso, perché sono diversi gli ascoltatori: è quasi un ritornello che accompagna buona parte del romanzo, e il punto dell'intera opera sta forse proprio qui. Una donna, una madre, una figlia, una sorella, una moglie, un'amante muore: cosa resta, cosa cambia? È un romanzo che parla di identità e di coscienza, e di conoscenza, e di quanto e come l'essere a conoscenza di qualcosa possa cambiare la coscienza che abbiamo del mondo e di come il mondo della nostra coscienza delimiti la nostra identità. A questo proposito è emblematico il discorso finale di Deàn, il marito di Marta, che si trova ad essere terribilmente sovrapponibile a Vìctor: la  conoscenza avrebbe potuto cambiare radicalmente il tono di determinati avvenimenti, la sua identità e quella delle persone che a lui si rapportano.
Un elemento fondamentale di questo romanzo, poi, è il ritmo: rythmos, un battito costante, il movimento di un'onda, gli stessi elementi che ciclicamente tornano, sempre gli stessi ma sempe diversi, perché le circostanze sono diverse, lo sguardo che li accoglie è cambiato, la luce non è più la stessa.  Leggendo, mi veniva da pensare che fosse un romanzo circolare, ma a lettura ultimata mi sembra che la figura che meglio lo rappresenti sia piuttosto quella di una spirale: gli stessi elementi tornano, si sovrappongono e si modificano, costruiscono l'uno sull'altro, sembrano tornare ognuno al loro posto, ma quel posto ormai non c'è più, tutto nel frattempo è  cambiato quel tanto che basta a renderlo riconoscibile ma essenzialmente diverso.
Mi è piaciuto veramente tanto, dopo un inizio faticoso (o meglio, denso, che non mi ha permesso di avanzare spedita nella lettura, ma non di non apprezzare la qualità della prosa e dei contenuti) l'ultima parte mi ha completamente rapita, ho letto le ultime ottanta sconvolgenti (e rivelatrici) pagine senza riuscire a staccarmene, saltando anche il pranzo (e vi assicuro che di solito il mio stomaco ha sempre l'ultima parola). L'amarezza, e al tempo stesso la consapevolezza che "è così che funziona davvero la vita" lasciate dalle pagine finali mi hanno completamente spiazzata e lasciata senza fiato, ma al contempo sono state la perfetta chiusura di un romanzo veramente straordinario.
Interessantissimo anche l'epilogo che ho trovato nella mia edizione, che riporta le parole dello stesso Marìas pronunciate in occasione della vittoria del premio Ròmulo Gallegos, veramente illuminanti e acute.

3 commenti:

  1. Non avrei mai immaginato una storia così con un titolo del genere!

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    1. Il titolo è tratto da un'opera di Shakespeare, che ritorna spesso nel romanzo... sì, è davvero molto particolare!

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  2. È collegata a questa? Mi sa che leggerò anche quella ☺️

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