sabato 14 febbraio 2015

Notti di cristallo

Sono notti di cristallo, l'ambra ancora lontana, mentre prendo fiato a piccoli sorsi. Ho paura dei vetri infranti, della bellezza fragile e fittizia, pronta ad esplodere e lasciare che sia solo dolore, ma lentamente prendo fiato, stringo la penna tra le dita e cerco di ricordarmi come si fa a vivere.
È una veglia a singhiozzo, col torpore a gravare le palpebre e quel senso di irrealtà che rende quasi possibile sperare che tutto possa tornare a due anni fa, quando le lettere erano gioie e dolori, ma soprattutto erano, ed ero, io.
Ora vivo sottocoperta, rifugi che si trasformano in prigioni, la mia mediocrità che da ogni angolo mi sbeffeggia e mi fa sembrare così inutile anche solo provare a volermi bene. Non riconosco nemmeno più la differenza fra un silenzio e una voce che mi passa sopra, mi copre e mi scavalca senza nemmeno sfiorarmi. E di Rossana, di Chiara che è Clara in punta di piedi la notte di Natale, non rimane che qualche pallido segno tracciato con disprezzo su un foglio sgualcito. Sognavo, speravo, volevo.
Straordinaria evoluzione della lingua, tutti i miei errori in un tempo verbale.
Imperfetto.
Come le mie righe tracciate quasi a forza, 'ché la spontaneità non mi appartiene più. L'inchiostro era rifugio, era vita, era prendersi in considerazione e tentare di salvarsi. In queste notti di cristallo, dimentiche dell'ambra, l'inchiostro è costrizione, ricalcare antichi sentieri quando tutto attorno è mutato, consapevoli che non basta compiere un gesto abituale per ritrovare le emozioni che un tempo erano state àncore di salvezza. Mi costringo a scrivere, non rileggerò, non si tratta più nemmeno di flussi d'incoscenza.
Avevo ritmi spezzati, quando sapevo contemplare le notti d'ambra. Tremavo davanti alle vertigini verticali della poesia, e godevo dei miei brividi, mi cospargevo di sfrontatezza arrogandomi il diritto di lasciarmi cadere in mezzo a quei vuoti meravigliosi. Respiravo a pieni polmoni, respiravo l'imperfetto, e il vuoto ha smesso di circondarmi, penetrandomi.
Non avrei voluto scivolare nel patetico, che ha tanto poco a che fare col pathos in cui avrei amato crogiolarmi, ma le notti di cristallo sono fatte per muoversi piano, per respirare a salve, godere del chiarore rosato del cielo carico di neve di un inverno in ritardo.
È il rosa di Chagall, quello in cui per un attimo ho osato di nuovo sperare, e che ha saputo deludermi con affondi tanto precisi e delicati da anestetizzare il dolore. Vorrei sapere ancora muovermi in cerchio, pirouettes lente coi muscoli tesi, sorrisi a mascherare gli sforzi. Invece ho scritture che arrancano, la fatica in ogni riga, l'artificiosità che sembra far capolino ad ogni tasto premuto. Sì, il sipario è calato, non si tratta più di voltare il viso in favore del pubblico, il mio è solo il  vacillare stanco di chi cerca di ritrovare fiducia nei propri passi.
E il rosa delle notti di cristallo sembra aver soffocato l'ambra.

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