Ed è difficile riprendere per mano le tracce stanche che si
avevano abbandonato in giorni che sembrano gemelli, giorni con poca neve fuori
dalla finestra e tanta voglia di stendersi sotto un cielo arrogante e imparare
a sciogliersi.
Sono pagine di diario strappate, curve morbide interrotte da
angoli bruschi, e le mie dita che premono sui tasti con cautela, la stessa
cautela di un uomo convalescente che dopo anni torna a poggiare i piedi a
terra. Barcollo un po’ fra queste righe, trattengo gli slanci azzardati e mi
curo poco della grazia nel movimento. Scrivo senza pretendermi, è solo un modo
come un altro per tornare a guardarmi e cercare i miei limiti e capire quanto l’animo
si sia atrofizzato.
Ho dimezzato i chilometri, accresciuto l’angoscia e
pareggiato i conti tra speranze e disillusioni, ma ancora sento incastrata fra
i capelli la neve tardiva di un giovedì sera in provincia, e quelle parole
deboli che ho fatto correre sotto le unghie. Eterno ritorno, di nuovo mi trovo
a riflettere sulle persone, prima seconda o terza. Ed è un po’ come chiudere
gli occhi e lasciare che le onde mi ricoprano il viso, un passo avanti e lo
stesso moto che mi aveva spinta ad avanzare mi riporta indietro, risacca dei
pensieri. Non parlo più di seconda persona fantasma o di pretesti sterili. Oggi
voglio il mio egoismo, egoismo e null’altro, arrotolo una ciocca di capelli fra
le dita e mi fermo a scavare in me.
A me, e agli articoli sottolineati di verde che fanno da
tappeto ai miei gomiti, mentre sento le labbra spaccarsi e non so se è un
sorriso o la colpa è delle lacrime, ma oggi ritorno a sognare. Ché se la mia
vita deve essere sonno, se non posso più riprendere contatto concreto con tutto
quello che scorre e ha tempi diversi dai miei, ci sia almeno il sogno.
Lo so, avevo promesso di smettere questa retorica pallida e
piena di sé, ma ho i passi ancora intorpiditi da un silenzio durato così tanti
giorni che ho smesso persino di contarli, e oggi i miei difetti sono quanto di
più simile ad una casa o un abbraccio – e quanto sottile sia la loro differenza
qualcuno me lo ha insegnato, con la sua assenza – io possa sperare di trovare.
Oggi mi risveglio,
muovo i miei passi deboli fra queste stanze note fatte di non detto e fiumi d’inchiostro
che non fanno che celare tutto quanto avrebbe soltanto bisogno d’essere
pronunciato a due voci. Voci sovrapposte, voci che si cedono il passo e si
intrecciano a crearne una nuova, la consonanza che non ho mai conosciuto.
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