venerdì 23 gennaio 2015

Memorie dal sottosuolo, di F. Dostoevskij

Ho iniziato a leggere questo libriccino quasi per caso, perché partecipando ad un gioco letterario mi è capitato in sorte di dover "adottare" Dostoevskij, e di dover quindi leggere qualche cosa di suo. Di tempo per leggere qualche mattone (per mero numero di pagine) ne avevo ben poco, così ho letto rapidamente le trame delle sue opere più brevi, e mi sono decisa per questo.
Qualche volta mi  capita (be',  a dire il vero è piuttosto raro, ma qualche volta è successo) di imbattermi in libri che, oltre ad avere un indubbio valore a livello letterario di cui certamente milioni di altre persone più qualificate potrebbero e hanno parlato in maniera più significativa di quanto potrei fare io, sono anche in grado di andare a toccare corde puramente emotive, di andare a premere in quei punti della mia emotività in maniera tale da quasi raddoppiare ai miei occhi il loro valore. Mi è capitato raramente, solo con "La campana di vetro" della Plath, "Le onde" dell Woolf, e, anche se in maniera un po' diversa, anche con alcuni romanzi di Fitzgerald. Ecco, a questo mio personale e del tutto irrazionale "pantheon" credo proprio di dover aggiungere queste "Memorie dal sottosuolo".
Potrei quindi dire tante cose, parlare di come questo romanzo sia diviso in due parti: nella prima sono riportate le riflessioni apparentemente spontanee del protagonista, è una parte piuttosto lenta, che bisogna assaporare poco alla volta per comprendere a fondo, fermandosi spesso a riflettere. Il protagonista qui si presenta come un uomo cattivo, un uomo malato, malvagio, che è perfettamente cosciente della sua cattiveria e se compiace, quasi se ne vanta, senza nemmeno voler provare a cambiare. E nonostante questo all'inizio possa apparire surreale, quasi grottesco, proseguendo nella lettura ci si rende conto che forse questo personaggio altri non è che un essere umano, con le sue debolezze e i suoi difetti, senza filtri, senza la maschera che sempre, più o meno consapevolmente, tutti gli uomini si trovano ad indossare. La seconda parte è invece molto diversa, è molto più narrariva, e il protagonista si trova a raccontare alcuni episodi appartenenti al suo passato, episodi in cui vorrebbe dimostrare ciò che aveva affermato all'inizio, ossia la corruzione della sua condotta. E certo non si può dire che agisca "bene", in maniera retta e luminosa, ma al tempo stesso è impossibile non provare molta simpatia (etimologicamente parlando) nei confronti di questo ometto piccolo piccolo, delle sue nefandezze, dei suoi brutti pensieri e delle meschinità dietro a cui si nasconde quasi fossero una corazza. Ed è qualcosa di naturale, perché i suoi pensieri sono qualcosa di estremamente coerente con la natura umana più istintiva, quella dove la ragione viene per un attimo messa da parte. Ed è forse in questi momenti che ci sentiamo (o per lo meno, io mi sento) così pericolosamente vicina a questo essere vissuto per quarant'anni nel sottosuolo. Perché poi forse non sempre ci comportiamo in maniera simile, o cediamo ai richiami del sottosuolo, perché qualcosa interviene, perché siamo anche (e lo sottolineerei, anche) esseri razionali. E poi magari ci aggrappiamo a queste ultime risoluzioni razionali, e chiudiamo gli occhi, distogliamo lo sguardo, cerchiamo di concentrarci su altro per scacciare il pensiero di quel marcio che abbiamo respinto, ma che è stato comunque l'impulso primario, quello più, mi verrebbe da dire, naturale.
Dostoevskij non si vergogna di guardare l'essere umano per quello che davvero (e con questo non voglio dire che l'uomo sia solamente sottosuolo, perché altrimenti personaggi come Lisa non avrebbero ragione d'esistere, ma di nuovo vorrei sottolineare l'importanza di un "anche") e di guardare fino in fondo, senza disogliere mai lo sguardo. Il modo in cui questo guardare mi ha colpito, quello che mi ha portato a vedere anche dentro di me, be', lo terrò per me, ma devo dire che è forse proprio questo quello che mi ha lasciata più sconvolta e provata dopo la lettura di queste poche pagine.
È una lettura preziosissima, e forse non riuscirò mai (né, credo, vorrò) a spiegare in maniera lucida, ma insomma, è una lettura che consiglierei a chiunque avesse voglia di affrontare un po' della polvere che ha accumulato ai margini della propria coscienza.

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